Droni militari: il nemico è invisibile

I droni militari, noti anche come “UAV” (Unmanned Aerial Vehicle), sono sempre più diffusi e impiegati nelle guerre in territorio nemico e, nell’ultimo decennio, sono stati impiegati nelle principali aree di crisi del mondo: Afghanistan, Iraq, Pakistan, Siria e Yemen. Questi droni, da considerare armi a tutti gli effetti, non richiedono la presenza fisica di forze operative nella zona di conflitto per essere utilizzate. Infatti essi sono comandati, via satellite, da ufficiali, seduti in cabine di pilotaggio, distanti anche migliaia di chilometri, a cui basta usare un joystick per gestire i movimenti, regolare la potenza del motore e controllare sensori e videocamere. Accade un po’ ciò che succede nei videogame, ma con un “game over” definitivo nella vita reale!

In una stanza illuminata dalla sola luce degli schermi, nella base aerea McConnell, in Kansas, un gruppo di analisti militari è chino su dei terminali (dispositivi elettronici, usati per inserire in input dati ad un computer e riceverli in output per la loro visualizzazione), che proiettano i video registrati in diretta dalle telecamere dei droni. Il compito di questi militari è quello di individuare i soggetti potenzialmente pericolosi e monitorare sia i loro spostamenti che quelli degli abitanti della zona circostante. Quando trovano ciò che sono stati addestrati a cercare, comunicano il bersaglio ai piloti che, in remoto, comandano i droni armati di missili “Hellfire”, pronti per essere sganciati in territorio nemico.

Certamente è di gran lunga più semplice decidere la sorte di un essere umano da dietro uno schermo, a migliaia di kilometri lontani da esso! La situazione si complica quando a pagare le conseguenze della guerra contro un nemico invisibile sono i civili, gli innocenti, i bambini.

Nell’ottobre 2012 Mamana Bibi, una donna di 68 anni, è rimasta uccisa in un doppio attacco, portato a termine con un missile Hellfire, mentre raccoglieva ortaggi nel terreno di famiglia, circondata dai nipoti. Nel luglio 2012, 18 braccianti, tra cui un ragazzo di 14 anni, sono stati uccisi in un attacco multiplo contro un villaggio situato al confine dell’Afghanistan. Questi, stavano per cenare, al termine di una dura giornata di lavoro. Nonostante  la versione ufficiale affermi che si trattasse di “terroristi”, le ricerche di Amnesty International indicano che le vittime non erano coinvolte nè in combattimenti, né costituivano alcuna minaccia per la vita altrui. Anche più recentemente, due bambini yemeniti, fratelli, Ahmad e Mohamad Al-Jozba, sono rimasti vittime di un attacco aereo, mentre camminavano per una via nella località di Al-Yakla, attacco compiuto mediate un drone statunitense senza pilota, diretto nella zona centrale dello Yemen. Inoltre, in un altro attacco simile, attuato nella località di Qifa, hanno perso la vita tre persone sospettate di appartenere alla rete terroristica di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA). Tra le numerose vittime, vi è Giovanni Lo Porto, cooperante palermitano, che il 15 gennaio 2015 viene ucciso per errore da un drone statunitense.

La strategia di Washington nello Yemen è quella di bombardare quelli che considera possibili terroristi Al-Qaeda, colpendo, in alcuni casi, persone raggruppatesi per un funerale o per una festa di matrimonio, facendone strage. “Danni collaterali”, dichiarano a Washington. Oltre ad essere considerata immorale, questa strategia è da considerarsi controproducente, in quanto gli attacchi dei droni statunitensi eliminano di sicuro qualche terrorista, ma uccidono anche un gran numero di civili innocenti. Perdipiù, attraverso questa strategia, considerata la struttura tribale della popolazione yemenita, gli USA generano tra 40 e 60 nuovi nemici per ogni reale militante di Al Qaeda eliminato. Un rapporto del Think Tank, “Internetional Crisis“, afferma che gli attacchi statunitensi nello Yemen, oltre a produrre vittime civili, hanno contribuito a fortificare i gruppi Al-Qaeda nel Paese.

Dunque, dopo un decennio di attacchi dei droni, l’obiettivo non è stato minimamente realizzato: anzi, piuttosto che essere eliminati, i gruppi terroristi si sono moltiplicati! Ma il fatto sconcertante, probabilmente non noto a tutti, è che gli attacchi mediante i droni siano attuati, dalle forze statunitensi, partendo dalla base militare USA di Sigonella, in Sicilia, oltre che da Gibuti in Africa Orientale. In particolare, i droni che partono dalla Sicilia sono impiegati in missioni militari contro le milizie dello Stato Islamico in Libia e Nord Africa. Un aspetto da considerare è che il governo italiano, acconsentendo all’uso dei droni di Sigonella, si trova a condividere con gli Stati Uniti ogni responsabilità in caso di controversie internazionali.

Non può esserci alcuna giustificazione per questi omicidi, perchè di omicidi si tratta! Nella regioni del Medio Oriente vi sono sì, pericoli reali per gli USA e i loro alleati e, in alcune circostanze, gli attacchi coi droni possono risultare efficienti, anche da un punto di vista legale. Ma è difficile credere che un gruppo di braccianti o un’anziana donna, circondata dai nipoti, possano realmente mettere in pericolo qualcuno.

Laura Roccaro 3Bs

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