Francesco Petrarca: Ascesa al Monte Ventoso

Una tra le lettere più importanti, scritte in prosa, da parte di Francesco Petrarca, è la cosiddetta Ascesa al Monte Ventoso, appartenente alle Epistole. Questa, è indirizzata a Dionigi di Borgo San Sepolcro, monaco agostiniano, amico e maestro del poeta trecentesco. In questa lettera Francesco racconta la salita sul monte Ventoso (la cima più alta della Provenza) insieme al fratello Gherardo. Il loro scopo è quello di raggiungere la vetta dello stesso monte alto poco meno di duemila metri: proprio il monte, in modo allegorico, rappresenta la vita dell’autore.

Prima della partenza i due pernottano a Malaucena e, proprio all’inizio del viaggio, incontrano un vecchio pastore, che aveva fatto lo stesso percorso e che li avverte dell’inutilità del viaggio, dicendo loro che si tratta di una fatica inutile, che si sarebbero potuti risparmiare. I due fratelli, ignorando i consigli del pastore, affrontano il viaggio in modo diverso: mentre Gherardo usa una via ripida, Francesco cerca una via comoda, per pigrizia, percorrendo strade che lo portano a girovagare inutilmente e senza avanzare verso la cima. Egli finisce col perdersi e con lo stancarsi maggiormente. Per lui, questo percorso, non è soltanto una salita verso la vetta, ma anche un cammino attraverso la propria anima. Egli, dunque, si rende conto che il suo spirito è debole, perché cerca di scappare dalla difficoltà, spesso fermandosi e riflettendo, in preda a timori che lo rendono facile preda del peccato. Petrarca studia il suo animo: la sua è una missione intellettuale, perché occorre viaggiare dentro di sè per testimoniare il valore dell’interiorità. Allora l’ascesa al monte Ventoso non è soltanto una passeggiata, ma anche un modo per riflettere su temi di natura esistenziale.

Una volta in cima, i due fratelli ammirano lo splendido paesaggio che da lì si gode. Petrarca viene colpito dall’aria insolitamente leggera: riesce, così, a trovare conforto dalla propria crisi spirituale grazie alla lettura di un passo delle Confessioni di Sant’Agostino, autore fondamentale per Petrarca. Il poeta si imbatte in una riflessione di alto e significativo valore simbolico:

“e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e trascurano sé stessi.”

Il brano, che invita gli uomini alla riflessione intima e a dare poco peso alle cose terrene, sembra adattarsi perfettamente alla situazione in cui si trova Petrarca, che allora può affermare:

(LAT) (IT)

“Librum clausi, iratus mihimet quod nunc etiam terrestria mirarer, qui iampridem ab ipsis gentium philosophis discere debuissem nihil preter animum esse mirabile, cui magno nihil est magnum.”

“Chiusi il libro, adirato con me stesso, poiché ancora ammiravo le cose terrestri, proprio io che già in precedenza avrei dovuto imparare dai filosofi pagani stessi che nulla è ammirabile ad eccezione dell’anima, alla cui grandezza non c’è niente di paragonabile.”

La narrazione si conclude con la discesa a valle e la presa di coscienza da parte del poeta dell’importanza del cambiamento interiore e del grande impegno necessario, non tanto per scalare il monte, quanto per vincere terrenis impulsibus appetitus, i desideri suscitati dalle passioni terrene.

Francesco Trombatore IV H

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