L’anno che verrà (senza paura)

Il 2024 si apre con timore. Il mondo è davanti ai nostri occhi e fa paura. Da ogni parte del globo ci giungono tante notizie: guerre, terrorismo, epidemie, emigrazioni, crisi ecologiche, davanti a cui ci sentiamo indifesi e vulnerabili.

Alla fine temo che il disordine del mondo, in un modo o nell’altro, “contagi” anche me, perché nel mondo globale, si sa, tutto si comunica.

La paura spinge a restringere la propria visione della realtà a sé e pochi altri, sperando di proteggersi. Di fronte al mondo si abbassa lo sguardo e ci si fida di leader rassicuranti, come i populisti. Il gioco politico dei populismi è alimentare le paure da una parte e poi, dall’altra, presentarsi come un presidio di sicurezza. Ha senso tanta paura? Ce lo chiediamo di fronte al 2024.

Nessuno può dare rassicurazioni, né sul futuro di un popolo, né sulla vita delle persone. Mai la donna e l’uomo sono stati del tutto “tranquilli” nella storia, eppure un grande pensatore, Zygmunt Bauman, ha parlato della nostra come di una delle stagioni più sicure della storia: «I pericoli che minacciano di abbreviare la nostra vita sono più scarsi e lontani di quanto generalmente non fossero nel passato». È un pensiero che ci aiuta a guardare con serenità il futuro e a non delegare la nostra libertà a leader populisti.

Nel Natale del 2024 si aprirà il Giubileo 2025: “Pellegrini di speranza”. Sarà una festa che riguarderà la storia dei popoli con le loro tensioni e povertà, ma anche le loro risorse. Oggi ci sono ancora risorse di pace e di umanità. Il 2024 sarà l’anno della fine dei combattimenti tra russi e ucraini? Ce lo chiediamo con ansia. Oppure sarà un altro anno di guerra che logorerà l’Ucraina, sottoposta all’aggressione, alle bombe, alla crisi economica, agli esodi? Forse la Russia aspetta le elezioni americane del 5 novembre 2024. Se fosse eletto Trump, Mosca potrebbe trarne vantaggio. Più ci si avvicina alle elezioni e meno il presidente Biden ha forza e ciò riguarda anche la sua capacità d’intervenire sul conflitto israeliano-palestinese. Come sciogliere questo doloroso intrico?

L’offensiva di Israele mira a eliminare Hamas, responsabile dell’aggressione del 7 ottobre, ma la popolazione di Gaza, che paga un alto prezzo di vite umane e sofferenze, sembra in buona parte identificarsi con Hamas, realtà terroristica che, però, il mondo islamico va riconoscendo come movimento di liberazione. È un nodo inestricabile. Così è la situazione della Cisgiordania, dove l’insediamento dei coloni israeliani ha ormai portato a una situazione impossibile. La guerra e le morti aumentano la distanza, rendendola quasi incolmabile. La tesi dei due Stati, Israele e Palestina, quella degli Accordi di Oslo, è un grande errore per il premier Netanyahu ma è insensato far incancrenire ulteriormente il conflitto. Come si potrà convivere vicini con tutte le garanzie?

La guerra è stata riabilitata come strumento di soluzione delle contese, ma non risolve nulla e moltiplica i problemi. Se si continuerà su questa via, il futuro riserverà amare sorprese: forse l’invasione della Guyana da parte del Venezuela di Maduro o un attacco alla fragile Armenia da parte dell’Azerbaijan, che rivendica le terre armene. Le guerre cominciano e non finiscono: lo si vede ovunque dallo Yemen al Sudan. La Siria è entrata nel suo tredicesimo anno di guerra.

Il terrorismo è una minaccia grave in varie regioni, come nel Sahel, dove colpisce Stati fragili: Mali, Niger e Burkina Faso. Quando uno Stato crolla è molto difficile ricomporlo. La violenza terroristica si nutre della frustrazione dei giovani, dell’emarginazione di gruppi etnici, ma anche di finanziamenti occulti da parte di poteri forti che mirano a destabilizzare. Il mercato e la produzione delle armi alimentano la violenza folle.

I risultati della Cop28 di Dubai sono controversi: non rispondono ancora con nettezza ai rischi climatici che ci minacciano. Tuttavia è avvenuto un fatto positivo: si è guardato finalmente alla “transizione dai combustibili fossili”, all’origine della crisi climatica. Sarà la fine dell’epoca del petrolio e del gas?

Quel poco che si è conquistato a Dubai può diventare molto: è stato un frutto della pressione dell’opinione pubblica, delle Ong e di tanti che non hanno abbassato lo sguardo e hanno insistito sulla crisi ecologica.

Nel 2024 si voterà in 76 Paesi, non tutti democratici. È però un anno decisivo. Gli appuntamenti elettorali ci rendono consapevoli che ognuno ha un peso. La distrazione o l’astensionismo favoriscono il degrado del mondo. La dimenticanza favorisce la cultura della guerra. Possiamo essere protagonisti, anche se piccoli, informandoci, appassionandoci, partecipando. Dobbiamo far sentire il nostro peso e non dimenticare che un mondo migliore è sempre possibile.

Alessandro Boscarino II A

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