IL CIELO ANCORA PIANGE

PER SEMPRE NEI VOSTRI CUORI E SOPRATTUTTO NELLE VOSTRE MENTI… B7456

Nel 1944, dopo aver invaso l’isola di Rodi, i tedeschi prelevarono con l’inganno tutti gli ebrei presenti, caricandoli sulla stiva di un vecchio mercantile in condizioni disumane. Il viaggio durò da Rodi fino al Pireo: lì, il 3 agosto 1944, fummo caricati sui treni e stipati nel buio soffocante dei vagoni piombati, diretti verso il campo nazista di Birkenau.

Il 16 agosto del 1944 arrivai nel campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), insieme ai miei due figli Sami e Lucia. Mio figlio quel treno lo chiamava “treno della morte”. Se fossimo stati in altre condizioni avrei sorriso per la sua ingenuità, ma, in quel momento, invece, era come se qualcuno avesse preso il mio cuore in mano stringendolo in un pugno, facendomi quasi soffocare. Sentimmo il treno fermarsi bruscamente: si udivano passi di persone e persone che si avvicinavano e urlavano parole incomprensibili. Prima che aprissero le porte, abbassai lo sguardo verso i miei bambini, stretti a me, e mi dissi che sarei stato forte. Aperte le porte piombate, ci tirarono per le maglie e per i pantaloni buttandoci giù dal vagone come sacchi di patate e un uomo, un medico, come fosse Dio, con un semplice gesto ci divise: vidi dei miei compaesani di Rodi venire nella mia stessa direzione e capii che eravamo stati scelti per i lavori forzati, mentre coloro che vedevo allontanarsi verso sinistra sapevo che non li avrei più rivisti. La terra era fango, un misto fra lacrime di bambini separati dai genitori, fratelli e amanti divisi fra loro, e sono sicuro che in mezzo ci fosse anche pianto di cielo. Dopo averci selezionati ci divisero ancora fra uomini e donne: io e Sami eravamo insieme, ma mia figlia Lucia mi venne strappata dalle braccia e allontanata. Nei giorni seguenti ebbi degli incubi: i miei occhi vedevano solo i suoi che mi guardavano come fossero ghiacciati, terrorizzati, spalancati e lucidi. Lucia sarebbe stata portata nel lager B e il fatto che fosse visibile dal nostro non sapevo se sarebbe stato di conforto o di ulteriore distruzione. Mia madre era orgogliosa di avermi dato il nome di mio nonno, Giacobbe, ma, dal quel giorno, il mio nome lasciò il posto a qualcos’altro: da quel giorno ero “B7456”! I giorni furono tutti uguali, uno peggiore dell’altro: la notte sentivo lamenti da parte di persone doloranti, che si rifiutavano di andare in infermeria, perché avevano ancora un briciolo di speranza di sopravvivere; persone che piangevano con un filo di voce e altre disperate; persone sotto stock per aver capito che il numero che avevano accanto era ormai cadavere e adesso, oltre la sua dignità, non esisteva più neanche la sua vita. I sensi erano inondati da dolore e morte. C’era una sola via d’uscita e non era difficile raggiungerla, ma ci voleva anche coraggio a volerla percorrere e io non lo avevo, perché ogni sera avevo appuntamento con un bambino a cui dovevo tutta la mia forza e che incoraggiavo a resistere e a riposare per essere forte, come se fossero parole rivolte più a me stesso o come se, rivolgendole a Sami, il suo sguardo fosse la mia ancora di vita. Un giorno, però, stringendo il suo cappellino a righe fra le mani, lui mi disse che non voleva andare a riposare perché quella sera avrebbe voluto vedere “la mia bellissima sorella Lucia”… non seppi cosa rispondere. Cosa avrebbe potuto pensare di suo padre se gli avessi detto che non avevo il suo stesso coraggio di vederla, perchè non riuscivo nemmeno ad immaginare in che condizioni fosse! Perciò istintivamente alzai le spalle. Per almeno 5 sere osservai, da una sporca e minuscola finestra, Sami percorrere avanti e indietro tutta la lunghezza del filo spinato nella speranza di vederla, fin quando una bambina magrissima e senza i capelli neri e lunghi,  con un cappello a righe al loro posto, alzò il braccio gracile per salutarlo. In quel momento mi toccai il petto con il terrore che un soldato mi avesse sparato, ma, toccando con mano, non avevo nessun proiettile in corpo: un proiettile mi avrebbe fatto meno male. Sami non ricambiava, non riconosceva nessuno con quell’aspetto, non riconosceva la persona che era abituato a vedere tutti i giorni e con la quale condivideva vita, gioia e amore fino a circa un mese prima, non riconosceva sua sorella. In effetti tutti i bambini, come gli adulti, sembravano tutti uguali, ma poi lo vidi pian piano alzare il braccio in segno di saluto e lo immaginavo con le lacrime agli occhi. La mia poca forza era scalfita quasi del tutto. Alla stessa ora del giorno dopo mi nascosi, sapendo che Sami avrebbe rivisto Lucia e così fu: lui prese, quasi di nascosto, un fazzoletto gonfio dalla tasca del pigiama e glielo lanciò da sopra il filo spinato; lei lo aprì, prese qualcosa dalla tasca del suo pigiama, lo mise dentro il fazzoletto e glielo rilanciò, non sapevo a che gioco stessero giocando. Sami riaprì il fazzoletto e finalmente vidi cosa conteneva: c’erano la fetta di pane che lui voleva regalarle e quella che invece Lucia aveva aggiunto alla sua. Ho preferito non voler più vedere sofferenza quando, prima di lasciarsi, strinsero le deboli braccia al corpo in segno di un abbraccio, separati da un muro di fili spinati. Il giorno dopo ancora, all’appuntamento con Sami, non gli dissi come sempre di riposare, di essere forte e di resistere, ma gli chiesi di rimanere un altro po’ a parlare con me. Prima di lasciarci gli dissi che il giorno dopo non mi avrebbe trovato al nostro solito appuntamento e lui alzò lo sguardo e ingenuamente mi chiese “e perché?”. Esitai a rispondere per un attimo, per poi vedere il mio naso allungarsi mentre dicevo che avevo bisogno di andare in infermeria a causa del lavoro estremo. “Resisti Sami… adesso va’ a riposare, cammina e non voltarti”. Lo vidi allontanarsi per l’ultima volta, sentii il cuore rallentare, gli occhi gonfiarsi e la mente spegnersi. “Sii forte… come non lo sono stato io amore mio… racconterai al mondo di noi”.

Quel filo spinato non è ancora del tutto tagliato e quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo. In questo sta l’utilità del segnare sul calendario il 27 Gennaio, la Giornata della Memoria, fondamentale tanto da dedicare un giorno di ogni anno alla facoltà di mantenere vivo un ricordo del passato, anche se non vissuto da noi, perché, se ci pensiamo bene, sia noi che quelli che verranno siamo e saremo tutti sotto lo stesso cielo che ancora piange. 

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