“Mamma, ma tu cosa hai fatto mentre quelle persone morivano?”

Con i miei compagni di classe della V E del Liceo Corbino, ho avuto l’opportunità di incontrare il vicepresidente dell’Associazione Resq, Corrado Mandreoli. Resq nasce per iniziativa di un gruppo di persone, amiche tra di loro, stanche di vedere annegare altre le persone, che provavano a costruirsi un futuro. Ciò ha condotto al desiderio di spendersi in prima persona, nella speranza di arginare tali drammi.

Corrado, insieme a quegli undici “pazzi”, come li definisce lui, appartiene a una generazione che ha sempre voluto un Paese che tutelasse i diritti umani. La nostra Italia lo ha fatto, perché è stata un punto di riferimento per gli altri a partire dalla sua Costituzione, dalla struttura della scuola, dalla sanità pubblica e molto altro. Gli italiani hanno secoli di storia alle spalle: parte tutto dal nostro Mar Mediterraneo, che è stato luogo di conflitti, ma anche motivo di scambi e di arricchimento culturale (basti solo pensare ai numeri dagli arabi). È solamente grazie agli scambi, alla voglia di aprirsi a nuovi popoli, e non alla chiusura e all’odio, che siamo diventati un popolo così ricco.

Resq inizia a prendere forma nel 2019. Dopo il periodo di crisi, che ha portato alla chiusura di tantissime fabbriche e alla perdita di molti posti di lavoro, negli Italiani è germogliata la paura del futuro. E quello che chiunque fa, quando ha paura, è chiudersi rispetto a chi egli pensa possa portargli via tutto, perdendo, però, così, l’umanità. Il vicepresidente ci ha spiegato che tutto è cambiato, in particolare, quando qualcuno ha incominciato a investire su questa paura, a usarla per un tornaconto personale di natura elettorale. E, così facendo, la società ha smantellato il sistema di accoglienza costruito negli anni. A quel punto, quegli undici si sono vergognati di far parte di un Paese che chiude i porti e hanno capito che non bastava più andare in piazza a manifestare: dovevano rispondere a quel senso di impotenza che li attanagliava. Quindi si sono detti: “Compriamo una nave, mettiamola in mare per salvare le persone che annegano e da questi 11 diventeremo come i Mille”. Ma nessuno di loro sapeva come guidare una nave o quanto costasse. Inizialmente scoraggiati, hanno, però, ripreso le redini della situazione e, durante la pandemia, hanno organizzato una raccolta fondi, che ha permesso loro di comprare una nave appartenente a una ONG tedesca. E una delle difficoltà più grandi, secondo Corrado, è stata quella di essere analfabeti digitali, dovendo misurarsi con il mondo dei social, unico modo possibile di comunicare in quel periodo. Eppure il traguardo è stato raggiunto: hanno raccolto un milione e 200 mila euro, che sono serviti per comprare la nave, per risistemarla e fare alcune spedizioni, in cui hanno già salvato 250 persone.

La nave, che attualmente si chiama ResQ People, nasce nel 1951 con il nome di Alan Kurdi, con lo scopo di salvare vite. Sulla nave ci sono 9 figure obbligatorie, necessarie per poter navigare, stipendiate e assicurate, e 10 volontari, tra cui medici, mediatori culturali, fotoreporter, film maker e giornalisti, essenziali per far sì che venga raccontato al meglio cosa succede in mare. Quello che differenzia Resq da molte associazioni di questo tipo è che loro non hanno voluto solo mettere in mare una nave per salvare persone, perché non annegassero più. Quello che vogliono realmente è che non ci sia più bisogno di associazioni del genere.

Corrado ci ha raccontato alcune storie di queste persone, che rischiano tutto nella speranza di un futuro, e il suo desiderio è che loro non debbano “più vendersi l’anima per vederlo”. Emerge da racconti quanto sia forte il legame con le proprie famiglie: si è disposti a sopportare di tutto, di essere massacrati, sfruttati, messi in campi di concentramento, pur di partire e mandare anche pochi soldi a casa. Ammassati sui barconi della speranza, persi nell’immensità del mare, spesso si aspetta solo di essere avvistati e qui inizia una corsa contro il tempo, per evitare che qualcuno della Libia arrivi prima degli aiuti. Resq, dopo averli salvati, tiene in particolar modo a scrivere sul barcone “Salvataggio effettuato da Resq People”, con tanto di data e numero di persone presenti. Questo perché molte volte si incontrano barche vuote e non si sa se le persone a bordo siano state salvate o se qualcuno della Libia le abbia intercettate. Quindi, quando si dice che sono morte naufragate 25 mila persone dal 2013, si parla di quelle censite, quando ci sono tantissimi che sono sfuggiti: un fenomeno che Resq vuole provare ad arginare.

Le persone salvate inizialmente sono molto diffidenti, perché non sanno bene chi hanno davanti. Poi, però, appena vedono che ci si prende cura di loro, lo sguardo si trasforma completamente e subito chiedono di collegarsi con le loro famiglie per dire di avercela fatta. Il problema molte volte è che si costruiscono affari sulle vite delle persone, ma la volontà di uomini come il vicepresidente Corrado è reale. Basta solo ascoltarlo quando parla di quanto sia emozionante salvare queste vite e si notano la pelle d’oca e gli occhi lucidi. Mandreoli ci ha spiegato che ai tempi della Seconda Guerra Mondiale molti erano a conoscenza di quello che stava succedendo agli Ebrei, ma nessuno ha fatto nulla. Sono tutti rimasti fermi a guardare e hanno costruito davanti a loro il muro, che distrugge completamente la nostra umanità, quello dell’indifferenza. Molti dicono che la storia è ciclica, ed è proprio così. Noi ancora oggi rimaniamo inattivi, inerti davanti a persone che muoiono annegate. Il problema è che un giorno la storia busserà alla nostra porta e subiremo il peso delle nostre scelte, quando i nostri figli ci chiederanno: “Mamma, ma tu cosa hai fatto mentre quelle persone morivano?”.

Chi fa parte della Resq e di qualunque altra associazione, che si occupi dei migranti, vuole abbattere questo muro così alto e, nel suo piccolo, prova a cambiare la storia a piccoli passi, perché l’unica alternativa che rimane è quella di vergognarsi e rimanere in silenzio. La domanda che molte volte le persone si pongono è: cosa posso fare io, che sono così insignificante? Beh, la risposta è semplice: si può donare, si può iniziare a far parte di queste associazioni oppure far propria la storia di queste persone. Infatti Corrado ci insegna che sentire una storia come nostra significa iniziare a parlarne con amici, parenti, informarsi su ciò che la riguarda. E facendo così cresce il numero delle persone che non ha paura di dire come la pensa e il grande muro dell’indifferenza viene smantellato pezzo per pezzo.

Aranya Amenta V E

RispondiInoltra

You may also like...