Dal dolore alla morte: c’è una via di mezzo?

L’uomo è un essere semplice. La sua vita è formata da sentimenti come gioia, felicità, compassione, affetto, altruismo, ma anche come tristezza, dolore, sofferenza e paura. I sentimenti influenzano il nostro essere, sono la causa di ogni passo che facciamo in avanti o indietro, sono incontrollabili e, molte volte, inspiegabili. Sono imprevedibili e, il più delle volte, mutabili: un momento di felicità può durare un solo istante e può essere distrutto e spento come una candela al vento; la gioia si può trasformare in euforia, così come il dolore si può trasformare in sofferenza. Una sofferenza senza il limite della logica, che oscura ragione e pensieri e che cresce fino a diventare insopportabile, tanto da superare la paura e l’amore stesso, definiti, dalla storia e dalla scienza, i sentimenti più forti, potenti e distruttivi che un uomo possa sentire. Questo dolore, questa sofferenza può opprimere un uomo fino a renderlo polvere. È incredibile da credere come talvolta la pena, le angosce e i sentimenti provati siano così forti da farci desiderare di porre fine alla nostra vita, piuttosto che continuare a lottare fino al raggiungimento di una situazione di quiete, che pensiamo non si possa mai realizzare.
 
Questo è il caso di Mario, un camionista marchigiano 43enne, paralizzato da dieci anni, che, persa ogni speranza e voglia di vivere, data la sua condizione, si è rivolto all’Associazione Luca Coscioni per richiedere ed ottenere legalmente, dopo una lunga battaglia, per la prima volta in Italia, il suicidio assistito. È chiaro, però, che la legalità del suicidio assistito è garantita da particolari condizioni dell’interessato, quali una malattia irreversibile, l’insostenibilità del dolore e la chiara volontà del soggetto. La richiesta di suicidio assistito da parte dell’uomo era già stata manifestata più di un anno fa, nell’agosto del 2020, ma era stata respinta. Mario ha, poi, più volte fatto richiesta, ma, nonostante i controlli e gli accertamenti che garantivano i punti sopra elencati, gli è sempre stato negato il diritto del suicidio assistito. Soltanto di recente il comitato etico dell’azienda, formato da medici e psicologi, ha constatato che il paziente aveva le caratteristiche idonee per ricevere il suicidio assistito e gli è stato dunque concesso. In questi casi, colui che assiste il paziente nel suicidio non ne è responsabile. Gli avvocati di Mario, guidati dal Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo, adesso risponderanno all’ASUR Marche per definire le modalità di auto-somministrazione del farmaco letale, affinché la volontà di Mario e la sentenza della Corte Costituzionale vengano finalmente rispettate. Dopo aver vinto la sua battaglia, Mario ha commentato: “Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni”. Mario è un uomo a cui la vita ha voltato le spalle, spingendolo oltre il limite della sopportazione. La madre era “contenta” del verdetto della Corte, “contenta” della liberazione dalla sofferenza del proprio figlio.
 
Ma quali sono le motivazioni e i comportamenti che provocano il desiderio della morte? Abbiamo intervistato la psicologa della nostra scuola, la dott. Sabrina Giardina, che ci ha dedicato un po’ del suo tempo:
 
Io eviterei di parlare di cause…meglio individuare fattori o elementi che portano a un scelta. Inoltre vi invito a una riflessione: il caso noto alla stampa come suicidio assistito potrebbe tranquillamente essere definito come processo che ha sancito l’accesso legale a farmaco letale e ha ammesso la non punibilità del gesto. (Corte costituzionale 2019). Resta da capire chi potrà iniettare il farmaco – dibattito ancora aperto. Premesso ciò, direi che una persona che incontra la malattia inguaribile, irreversibile e che riconosce l’insostenibilità della propria sofferenza psicofisica, ebbene quella persona può affermare il proprio diritto e la propria volontà di autodeterminare il proprio percorso di cure – diritto di consenso che deve essere informato, adeguato, proporzionato, aggiornato, reversibile, nel caso di disposizioni anticipate DAT 2017. Come professionista, mi sono occupata di pazienti terminali dal 2003 e il mio supporto, insieme all’equipe che assistite queste persone, consiste nel sostenere e rispettare le scelte del soggetto sul proprio fine vita, nel supporto psicologico e materiale per la qualità di vita residua, nell’accompagnamento alla sospensione dei trattamenti sproporzionati, alla sedazione profonda e, infine, alla morte. Il percorso di sostegno va offerto ai familiari della persona assistita e al personale che se n’è occupata. Infine, l’unica lotta che faccio è culturale, stimolando la riflessione. (…) La figura dello psicologo è ben accetta in quella fase di vita. I familiari e le persone care possono testimoniare, in maniera autentica, vicinanza e affetto, senza giudicare, accettando la volontà di autodeterminarsi del loro congiunto; questi gesti, del tutto faticosi, restituiscono dignità, pace e serenità a ciascuno degli attori – protagonisti e non protagonisti.
 
 
Il suicidio, il dolore e l’angoscia, sebbene non tocchino tutti noi, sono emozioni e sensazioni che ci circondano quotidianamente, ma non tutti reagiamo allo stesso modo.
 
Elisabetta Giacalone 3C e Gabriel Corcodel Cosmin 4G

 

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