Non una di più: “femminicidio sparisca”, ma è ancora tra noi

Oggi 25 novembre, come ogni anno, è una giornata volta alla riflessione, alla lotta ed alla manifestazione di dissenso verso il femminicidio e la violenza di genere. Negli ultimi decenni, il fenomeno ha avuto una crescita visibilmente preoccupante: solo nel 2021, sono state uccise 119 donne (per una media di quasi 10 al mese). Il femminicidio continua a mietere vittime su vittime ed è spesso premeditato e “palesato” attraverso piccoli, impercettibili segnali.

Definizione di “femminicidio”

femminicìdio s. m. – Termine con il quale si indicano tutte le forme di violenza contro la donna in quanto donna, praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica), che possono culminare nell’omicidio

È importante la distinzione dalla parola “omicidio” (riportata dall’Enciclopedia Treccani): “forme di violenza contro la donna in quanto donna”; ciò tende ad identificare collettivamente la maggior parte dei moventi di un gesto talmente estremo.

I segnali, le cosiddette “red flags”

Dato che il simbolo della bandiera rossa triangolare è spesso utilizzato per segnalare un pericolo, l’emoji che lo raffigura è comunemente usata per riferirsi a situazioni spigolose o per avvertire le persone di pessime idee o potenziali problemi.

Questa è la definizione riportata da Dictionary.com (inglese), ed è ormai di uso comune. Siamo, ormai quasi del tutto, circondati dalle red flags. Addirittura, le suddividiamo in categorie, nomi, significati e classifichiamo la loro gravità. Ricordiamo le più note:

  • Love bombing: comportamento tipico delle persone affette da narcisismo o disturbi della personalità borderline (tra gli altri), rappresentato da un “eccessivo” coinvolgimento (bombardamento d’amore) all’interno di una relazione, che potrebbe trasformarsi in atteggiamenti estremamente manipolatori.
  • Gaslighting: tentativo, da parte di uno dei componenti di una relazione, di distorcere la realtà dell’altro a proprio piacimento, arrivando a sostenere addirittura il falso pur di confonderlo. Uno dei tanti esempi può essere il ribadire insistentemente il fatto che non sia stata esercitata violenza sulla vittima, anche se questa ha dei lividi.
  • Estremo senso di controllo e gelosia: si manifestano nella relazione quando uno dei componenti sente di poter prevalere sull’altro, sfruttandone le debolezze.

Non è difficile che questi atteggiamenti diventino qualcosa di più violento: alla base di numerosi crimini agghiaccianti, si trovano proprio questi terribili modi di fare. Tanti di questi li ricordiamo per l’estrema efferatezza, per l’ingiustizia e per la rabbia scatenata da parte dell’opinione pubblica.

Il caso Elisa Claps: Danilo Restivo, l’insistenza e la follia

Il caso della giovanissima (16enne) Elisa Claps ha ricominciato a comparire sulle prime pagine di tutti i giornali. Sarà per la promozione della fiction dedicata “Per Elisa” o ancora per la rabbia della famiglia per i risvolti dell’ultimo anno, il successo dell’Associazione Penelope, ma dal lontano 1993 lo ricordano tutti, grandi e piccini. Elisa era una studentessa appena promossa agli esami finali, pronta a festeggiare con la famiglia il traguardo appena raggiunto. L’emozione fu presto stroncata da Danilo Restivo, ragazzo poco più grande di lei, che per lei provava una “cottarella” (tramutatasi in insana ossessione). Questi aveva ottenuto la fama di “Parrucchiere di Potenza”: ciò a causa della sua mania verso i capelli. Era noto per aver importunato una moltitudine di ragazze, finendo per tagliar loro una ciocca di capelli custodita gelosamente. Restivo telefonerà ad Elisa con il pretesto di consegnarle un regalo nei pressi della Chiesa della Santissima Trinità (sempre a Potenza). Dopo averlo raggiunto, Elisa non farà mai più ritorno a casa. Per ben 17 anni non si avranno minimamente sue notizie: tra depistaggi, insabbiamenti, false testimonianze e lunghi silenzi, il corpo (ormai decomposto) di Elisa verrà ritrovato in quella chiesa da dove non è mai uscita. Danilo Restivo verrà riconosciuto effettivamente come suo assassino qualche anno dopo. Attualmente si trova in carcere e lì rimarrà per il resto dei suoi giorni. È stato sottoposto ad un giusto processo (seppur fin troppo tardi), ma la famiglia Claps non riavrà mai più Elisa indietro. Lodevoli gli sforzi del fratello Gildo nelle ricerche e nelle indagini: nel 2002 fonderà l’Associazione Penelope, che si occupa del ritrovamento di persone scomparse e del sostegno da dare ai loro familiari, amici e conoscenti. Tuttavia, la Chiesa della Santissima Trinità è stata riaperta pochi mesi fa ed è stata luogo di numerosi presidi che ne invocano la chiusura.

Giulia Tramontano (e il piccolo Thiago): l’efferatezza di un capriccio

Il 2023, dal punto di vista dei femminicidi, è stato l’anno dell’assurdo: il caso più eclatante è quello di Giulia Tramontano, agente immobiliare di 29 anni al settimo mese di gravidanza. Il compagno, Alessandro Impagnatiello, da qualche tempo conduceva una doppia vita: con l’amante, più giovane, tendeva a screditare Giulia facendola passare per una poco di buono. Qui si tocca il fondo: Impagnatiello vuole sbarazzarsi della compagna e del figlio ancora in grembo per continuare a “vivere serenamente”. Tenterà più volte di avvelenarla con un topicida e lei ne sentirà l’effetto solo nel corso dei mesi (senza capire a quale causa si potesse attribuire). Stanco di aspettare, l’assassino sceglie di prendere la strada più breve: accoltellarla alle spalle durante un momento di distrazione, occultandone il cadavere. Thiago, questo il nome del bambino che la coppia aspettava, morirà di asfissia per assenza di circolazione del sangue. Impagnatiello, inizialmente, prova a coprirsi da solo, utilizzando il telefono di Giulia per rispondere alle persone che le scrivevano. Questo terribile crimine è frutto di una lunghissima premeditazione, durata svariati mesi alla ricerca dei modi più disparati per farli fuori. È proprio lui, il carnefice, che ne denuncerà la scomparsa alle autorità, facendola passare per un allontanamento volontario. I familiari di Giulia premono sull’instabilità di questa ipotesi, portando i Carabinieri ad indagare anche sul fidanzato. Quest’ultimo ha tentato più volte a disfarsi del corpo, bruciandolo, ma senza alcun successo; per questa ragione lo abbandonerà non troppo lontano da casa. Alla luce delle evidenze emerse durante le indagini, il killer crollerà e confesserà. Attualmente, si trova in carcere: la pena definitiva non è ancora stata stabilita. L’opinione pubblica ha dimostrato caldamente il proprio cordoglio alla famiglia: ad oggi, esistono numerosi murales a Senago (il paese in cui abitavano, provincia di Milano) in memoria di Giulia e Thiago.

Eligia (e Giulia) Ardita: ciò che leggiamo non è poi così lontano da noi

È il 19 gennaio 2015 quando l’intera città di Siracusa viene scossa da una terribile notizia: Eligia Ardita, infermiera del Pronto Soccorso all’ottavo mese di gravidanza, viene a mancare per un arresto cardiaco. La sera, viene mandata un’ambulanza in via Calatabiano, ma nessun tentativo riuscirà a salvare Eligia e la piccola Giulia. La chiamata ai soccorsi viene effettuata da Christian Leonardi, il marito della donna. Una volta diffuso l’audio della telefonata, in molti hanno constatato quanta calma e sangue freddo egli avesse nel descrivere una situazione di panico di questa portata in un modo talmente controllato. Non finisce qui: Leonardi sporgerà denuncia verso i paramedici del 118 per procurato aborto e lesioni colpose. La famiglia Ardita inizia a porsi i primi dubbi: perché Eligia, che godeva di ottima salute e di una gravidanza serena, di punto in bianco può aver accusato questo malore? Sceglieranno, dunque, di non cremare la salma: sanno bene che, prima della gravidanza, la coppia ha affrontato numerose liti per motivi economici. Dunque, otto mesi dopo la denuncia, la Procura indagherà proprio sul marito di Eligia per omicidio ed interruzione di gravidanza. Dagli esami autoptici emerge che la vittima è stata colpita violentemente alla testa, per poi essere stata soffocata (cosa che provocherà, così, anche la morte del feto). Messo alle strette ed impossibilitato a negare l’evidenza, confessa: è lui l’assassino di Eligia e Giulia Ardita. Verrà condannato all’ergastolo. La sorella Luisa fonderà l’associazione “Eligia e Giulia Ardita” allo scopo di aiutare le donne in difficoltà.

Giulia Cecchettin: un angelo dalle ali tarpate

Questa è l’ultima, terribile, notizia quasi fresca di giornata: è da più di una settimana che tutta Italia si mobilita alla ricerca della giovanissima Giulia Cecchettin, 22enne veneta laureanda in ingegneria biomedica. Conscia di come Filippo Turetta, il suo ragazzo, potesse diventare pericolosamente possessivo, lo lascia. I due rimangono in rapporti civili e continuano a vedersi. Pare che questa scelta fosse voluta da Giulia per non far pesare troppo la separazione a Filippo, secondo quanto riportato da chi li conosce. Nella giornata dell’11 novembre, i due si incontrano per raggiungere un centro commerciale, in cui comprare un vestito per la laurea di lei. Verrà vista per l’ultima volta salire sulla Fiat Grande Punto nera di Turetta: da quel momento, a casa non farà più ritorno. Le segnalazioni della sua scomparsa e di quella dell’ex fidanzato hanno viaggiato per tutta Italia alla velocità della luce, con un popolo pronto a segnalare alle autorità qualora li avesse visti. È stata una lunga settimana di apprensione, durante la quale l’opinione pubblica pensava già al tragico epilogo della vicenda; purtroppo, non si sbagliava. La notizia giunge nella mattinata del 18 novembre: un corpo femminile senza vita è stato ritrovato in un canalone nei pressi del lago di Barcis (Pordenone): esso apparteneva proprio a Giulia. La stessa Giulia che si sarebbe dovuta laureare il giorno prima, che aveva già consegnato la sua tesi, che non aspettava altro, è stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ancora latitante fino alla mattina del 19 novembre, giorno in cui è stato trovato nella sua auto in Germania, in una corsia d’emergenza dell’autostrada. Innumerevoli i messaggi di cordoglio verso la famiglia, nonché gli importanti spunti di riflessione proposti da essa stessa e da tante ragazze e tanti ragazzi.

“Non proteggete le vostre figlie, educate i vostri figli”

Adesso, di questa frase ne sono tappezzati i social. Può sembrare un paradosso, ma, invece, sarebbe da analizzare per capire il perché di un’affermazione simile. Questo perché viviamo in una società patriarcale sin dall’alba dei tempi e il Medioevo ne è stato la massima espressione. Tuttavia, anche oggi spesso ci riferiamo a quel periodo, quando vediamo, proviamo, leggiamo o sentiamo dire di eventi non in linea con quella che oggi sarebbe la visione dell’uomo e della donna. Parliamo di Medioevo quando sentiamo, dai politici in carica di volta in volta, quel “giù le mani dai bambini” da strapparsi le orecchie, quelle “politiche arcobaleno” da cui stare lontani per non venire sbranati, quel “politicamente corrotto” che “plagia” il cervello dei nostri bambini fino a renderli “amebe”. La soluzione è più semplice del previsto: nelle scuole venga insegnata l’educazione affettivo-sentimentale, che si insegni il consenso, che si parli di ciò che succede attorno a noi, invece che guardare e passare oltre. Per quanto, a modo suo, ciò possa essere funzionale, la proposta è stata bocciata con un chiarissimo “NO”. Quel “NO”, intanto, nuocerà alla società di oggi e di domani. Chi lo spiega, a chi un domani sarà al posto nostro, che il contesto distopico in cui vivono sarà proprio frutto delle piaghe sociali che sono nate e cresciute con l’uomo, ma che noi abbiamo bellamente ignorato? La rivoluzione va fatta a piccoli passi, ma è più che chiaro che senza questi non se ne verrà mai a capo. Per questa ragione, il collettivo femminista “Non Una di Meno” scenderà nelle piazze assieme a numerose associazioni nella giornata simbolica del 25 novembre, per mostrare al nostro governo a cosa va incontro quando la sua politica diventa oppressiva nei confronti delle minoranze e specialmente delle donne. Tutto ciò per dimostrare ai genitori che è solo educando i propri figli, maschi e femmine, al rispetto che non servirà proteggersi, perché si sentiranno comunque al sicuro.
Questo perché il controllo compulsivo non è amore, la gelosia non è amore, l’insoddisfazione non è amore, la follia non è amore, insultare non è amore, picchiare non è amore, stuprare non è amore, uccidere non è amore, fare catcalling non è amore, quelle battutine sessiste che siamo soliti sentire non sono amore, nè tantomeno rispetto.
I mostri non nascono così di punto in bianco, ma è la feccia della società patriarcale in cui viviamo a far sì che nascano, crescano e continuino a proliferare. Ciò che a noi tocca fare è lottare, affinché non esistano altre Giulia, altre Eligia, altre Elisa, altre Elena, altre Melania, altre Michelle, altre Chiara…affinché ne esista non una di più.

Federica Barone 4G

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