Odio (e sfumature) su tela: il vademecum del (mal)essere umano

Da secoli, all’uomo viene affibbiata la definizione di “animale sociale”. Cosa si intende, con tale descrizione? Ciò sta a significare che l’uomo tende ad aggregarsi con altri individui suoi simili, per costruire una comunità e dei rapporti sociali. Qui sorge la domanda da un milione di dollari: sono tali rapporti destinati ad essere esclusivamente positivi? Ovviamente, no. L’uomo, prima di essere “animale sociale”, è soprattutto animale, tuttavia i suoi istinti sono inibiti dal raziocinio. Nel momento in cui ciò accade, l’uomo reprime i comportamenti più animaleschi, ma non è detto che reagisca positivamente. Può risultare fisicamente aggressivo, ma lo sviluppo dell’intelletto ha contribuito ad un utilizzo contorto di esso: è qui che entrano in gioco la manipolazione e la violenza psicologica. Quando certi comportamenti vengono messi in atto, non importa quanto questi possano essere di lieve entità: essi non saranno mai considerati insignificanti.

La superbia

Un utilizzo scorretto dell’intelletto è alla base di una convivenza instabile all’interno delle società. Ancora oggi ne abbiamo le prove: spesso, ci accorgiamo che un eccesso di superbia è uno dei principali problemi. Tutti conosciamo almeno una persona che è solita dire: “Pover* l*i, per fortuna io non sono così”; l’eccessiva considerazione di sé porta in genere a dei paragoni con persone, che magari con noi non hanno proprio nulla a che fare, con le quali un confronto non può obiettivamente reggere, ma noi non lo sappiamo (o non vogliamo saperlo). Quando ciò accade, ci eleviamo a soggetti perfetti, senza difetti e insicurezze, quando, in realtà, le stiamo semplicemente riflettendo sulle parole che scagliamo contro i soggetti in questione. 

L’invidia

Ai poli opposti, si trova l’invidia. L’invidia preferiamo spesso tenerla per noi. Quanto è brutto quando qualcuno ha qualcosa che noi non abbiamo la possibilità o la determinazione di raggiungere, no? Esattamente, è così che ci si sente. Non siamo soliti esternare questo sentimento, anzi: capita frequentemente che la superbia ci faccia da scudo. Il fastidio, che proviamo nel sentirci inferiori, ci porta a corazzarci di una superiorità sprezzante.

L’intolleranza e la discriminazione

È facile che alla base dell’odio verso qualcuno ci sia odio verso una sua caratteristica. Tanti dei casi di discriminazione, infatti, riguardano delle minoranze: donne, persone con colore della pelle differente, appartenenti alla comunità LGBTQ+, credo religioso differente, mestiere meno retribuito, differenti conformazioni fisiche, passioni e tanto, tanto altro.

La persecuzione

La combinazione devastante dei due sentimenti precedenti. Non sono pochi i casi che sentiamo: in svariate relazioni, in seguito ad una rottura, uno dei due partner (se non entrambi), dimostra la propria invidia repressa attraverso la superbia, fino a raggiungere uno stadio malato, di non ritorno, che si manifesta mediante atteggiamenti persecutori altamente pericolosi nei confronti dell’altro. È persecuzione anche l’accanimento mediatico (e non solo), che a volte tende a sfociare nella diffamazione, riguardante persone note al pubblico e non.

La diffamazione

Per quanto sia considerata sinonimo della calunnia, è qualcosa di leggermente diverso. È diffamatorio ledere, in qualunque modo, la dignità ed il decoro di un individuo. È diffamazione una chiacchierata al bar dove si parla male di qualcuno, banalmente. È diffamazione anche diffondere pubblicamente materiale privato, oltre che fare violenza psicologica. Ancora, è diffamazione pubblicare contenuti contenenti insulti di vario tipo: fisici, etnici, sull’identità di genere, sesso, religione, ecc.

La calunnia

A differenza della diffamazione, penalmente, la calunnia è contemplata come reato più grave: essa consiste in false dichiarazioni alle forze dell’ordine nei confronti di un individuo. Ovviamente, ciò si associa al reato di falsa testimonianza.

La violenza psicologica

La violenza psicologica rientra nel reato di violenza privata e violazione di libertà personale nei confronti della vittima (fino a 4 anni di reclusione). Ciò consiste in continui o intermittenti comportamenti nocivi (di natura prettamente verbale), che portano la vittima ad uno stato di malessere psicologico, debolezza e subordinazione. Ciò la svilisce ed è molto complicato riprendersi da ciò. Attraverso la tecnica di gaslighting ed isolamento, l’aggressore allontana la vittima da tutte le persone a lei più importanti, inducendola a pensare che tutto ciò sia normale, “per il suo bene”. I segni della violenza psicologica sono difficili da riconoscere, sia per chi ne è colpito, sia per gli osservatori esterni. Tuttavia, molto spesso, le ferite si cicatrizzano molto più lentamente rispetto alla violenza fisica.

La violenza fisica

La violenza fisica la conosciamo già, in più e più “salse”: giornali, telegiornali e media ce la rifilano in continuazione. Fanno male? Assolutamente no. È giusto, però, ricordare quanto questo sia un termine “ombrello” per racchiudere vari tipi di violenza e mortificazione, diretti ed indiretti. La violenza fisica si considera diretta, quando una qualsiasi azione è finalizzata a far male/arrecare danni fisici ad un individuo, ed indiretta quando, anziché toccare direttamente la vittima, si sfregiano oggetti e/o persone a lei vicine, spesso con lo scopo di ricatto o mortificazione. Nel peggiore dei casi, la violenza fisica porta a danni permanenti, oppure alla morte.

La violenza sessuale

Questo è uno dei tipi di violenza più, tristemente, “popolari”. Si sentono decine di casi al giorno e fanno male sia fisico, sia psicologico. È inconcepibile utilizzare la propria forza per sopraffare un soggetto tendenzialmente “debole”, con lo scopo di eseguire atti sessuali senza il consenso di esso. Chi ne è vittima, difficilmente si riprende: purtroppo, tante di loro scelgono una quasi totale reclusione oppure, nel peggiore dei casi, il suicidio.

L’odio è alla base dell’aumento dei suicidi

È statisticamente provato che i suicidi siano aumentati esponenzialmente nell’ultimo decennio: secondo i dati ISS e ISTAT, ogni anno in Italia si contano all’incirca 4000 morti per suicidio. Nel 2016, ultimo anno per cui le statistiche sono disponibili, se ne sono verificati 3780. La maggior parte dei casi rientra nella fascia d’età 18-36 anni, oltre a over 60. Quanti di questi siano effettivamente legati all’odio non si sa, ma sicuramente non saranno pochi (in particolare nel range d’età più giovane).

Che conclusioni traiamo?

La cosa importante è saper riconoscere anche i segnali più banali di un comportamento pericoloso e chiedere aiuto rivolgendoci ad una persona e/o struttura fidata, se non si vuole subito sporgere denuncia. Ad oggi, esistono numerose strutture sparse per l’Italia che forniscono un tetto, assistenza psicologica e medica a uomini, donne e bambini. Senza dubbio, queste vanno promosse, per fare sapere a quante più persone possibili che non sono sole e che ci sarà sempre qualcuno su cui fare affidamento. Soprattutto, la cosa migliore è avere sempre, per quanto possibile, una condotta positiva che non metta a disagio gli altri, allo stesso modo in cui potrebbe provocarlo a noi.

Federica Barone 4G

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