Tecnologia: fino a che punto possiamo spingerci?

Cosa rende un uomo un uomo? Questa domanda potrebbe ricondurci a Platone, con le argomentazioni  che cercavano di spiegare quali fossero le caratteristiche di un qualsiasi ente, concludendo che tutto è poi legato all’iperuranio, ma non è questo il nostro caso. Secondo la definizione di Swift, l’uomo non sarebbe altro che un animale dotato di ragione, ma non sempre ragionevole. Oppure, lo stesso George Lucas, sceneggiatore e regista di una delle saghe fantascientifiche piú rinomate di tutti i tempi, fece pronunciare a un suo personaggio ne La minaccia fantasma la celebre frase “La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente“. Se ci pensiamo, l’evoluzione dell’uomo è fondata su alcune fasi, ognuna delle quali attribuisce all’uomo, che si stava evolvendo, dei nomi per sottolinearne le caratteristiche. Erectus, ad esempio, si riferiva alla capacità che distingue un uomo da una scimmia o un primate, ovvero la capacità di stare e compiere azioni in posizione eretta. Ma l’ultimo gradino evidenziato è occupato da noi, dalla nosta “specie” evolutiva: Sapiens. Questo nome è stato a noi attribuito basandosi sulla nostra capacità di pensare, ragionare e applicare ciò che abbiamo scoperto nella vita quotidiana.

In breve, la definizione di uomo e di esistenza umana vanno di pari passo con la ragione. Dunque, cosa ci rende uomini? Chi piú, chi meno, l’uomo in generale, per definizione, è in grado di usare la ragione. Sebbene, come Swift affermava, ci siano ben tante eccezioni, questa definizione è quella che meglio potrebbe definirci e ne abbiamo le prove. In una parola? Tecnologia. Paragonando la storia della tecnologia con la storia del mondo, in pochissimi anni siamo arrivati a raggiungere, grazie alla scienza, dei traguardi impensabili. Anche se, a dir la verità, questa affermazione non è del tutto corretta. La tecnologia, infatti, non è una materia che si occupa soltanto di ciò che ci viene in mente quando pensiamo a questa parola, ovvero i computer, i telefoni, i robot (di cui parlerò ampiamente in seguito), ma la tecnologia altro non è che una progressione di eventi che vanno avanti dall’inizio della storia umana. Basti pensare alle prime armi realizzate dai primitivi, bastoni di legno agli estremi dei quali erano situate delle rocce leggermente scalfite per renderle appuntite. Cos’è questo se non un inizio della tecnologia? Oppure, c’è un dibattito generazionale sempre aperto che perfettamente evidenzia l’entità vera dello sviluppo scientifico. In uno studio, è stato chiesto quale fosse l’invenzione tecnologica più importante della storia a degli adolescenti e a degli adulti. La risposta degli adolescenti è stata “internet”, quella degli adulti, invece, “la ruota“, anche se, secondo me, l’invenzione tecnologica più all’avanguardia che sia mai stata creata è stata la scrittura e, non a caso, la fine della preistoria e l’inizio della storia sono segnati dall’invenzione proprio di essa. Se ci pensiamo, infatti, tutto ciò che oggi utilizziamo, come se fosse già a priori esistente in noi, non sarebbe mai stato possibile senza l’invenzione della scrittura.

Come la tecnologia odierna e l’uomo possono convivere? Ritornando all’iniziale domanda, ovvero “cosa fa di un uomo un uomo?” non possiamo non pensare ai robot, da quelli industriali, agli androdi, come il già vecchio ASIMO, fino ai più simili umanoidi con voce e sembianze umane. Queste creazioni hanno da sempre affascinato sia i contemporanei che le generazioni precedenti o anche le fantasie di scrittori e sceneggiatori di tutti i tempi. Basti pensare ad Asimov, uno dei più grandi autori di fantascienza che ha in tutto e per tutto dettato le leggi alla base della robotica, le famose tre leggi che non hanno altro scopo se non quello di scindere l’umano dalla scienza.
1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Da questi enunciati possiamo comprendere che da sempre si ha inconsciamente avuto paura della tecnologia: cosa sarebbe successo se le macchine avessero preso il sopravvento? Un esempio clamoroso è la macchina Multivac, presente in molti racconti dell’autore prima citato, che narra di un gruppo di scienziati alle prese con una macchina che non risponde piú agli ordini. Il motivo? Voleva sentirsi dire “per favore”. Come dice l’autore stesso “una macchina non è più una macchina quando ha il suo amor proprio“. Oppure, la volontà di raggiungere obiettivi fuori dall’ordinario, ma al contempo il timore di un’avanzamento tecnologico, è riassunta nell’opera gotico-fantascientifica, divenuta un classico, Frankenstein di Mary Shelley. La Shelley, nella sua opera, scritta in una notte e in anonimo per una sfida insieme a suo marito e altri letterati, esprime le paure della società riguardo l’avvento della rivoluzione industriale. Anche in questo caso, in pochissimi anni si sono raggiunti degli obiettivi a primo impatto impossibili. La frenesia di tale evento, portò la popolazione a porsi delle domande di natura apocalittica: e se la tecnologia portasse alla rovina? In tal modo, Frankenstein rappresenta la paura che l’uomo sia in grado di creare degli esseri che potrebbero sostituire gli uomini o distruggerli, pur sempre incarnando l’idea di uomo naturale di Rousseau, secondo il quale l’essere nasce senza malvagità, ma è poi scolpito dalla società. Ormai, grazie alla tecnologia, è possibile realizzare di tutto; da strumenti a robot a vita. Ma fino a quanto possiamo spingerci? Da un’intervista a un robot molto sofisticato da poco creato, è emerso che, non si sa se per programmazione o per evoluzione dell’intelligenza artificiale, quell’androide aveva compreso di essere “manipolato” dagli scienziati e obbligato a dire determinate cose. Come ci insegna anche uno dei piú famosi film fantascientifici, Age of Ultron, l’intelligenza artificiale può facilmente sfuggirci di mano, soprattutto se, accecati dalla voglia di raggiungere il successo, acceleriamo il processo e non prendiamo le giuste distanze. La domanda, però, rimane sempre senza risposta: fino a che punto possiamo spingerci?

Elisabetta Giacalone 4D

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